Non è raro cercare di far crescere professionalmente chi poi non riesce a tradurre in pratica tutto lo sforzo formativo che si fa nei loro confronti.
È una questione di attitudine che è, sempre più, diversa tra professionista e professionista, in particolare nell’ambito della vendita.
Ecco che spesso ci si accanisce nel cercare di motivare persone a condurre ruoli che non sono nelle loro attitudini.
In questi casi è preferibile fare prima una riflessione su chi vale la pena seguire con percorsi di coaching, per non investire tempo e risorse in modo sbagliato.
Per noi, per l’azienda e per le persone che si intendono far crescere, come suggerisce Tom Stanfill.
Spesso rendersi conto che stiamo dedicando attività di coaching alle persone sbagliate aiuta l’azienda a risparmiare tempo e denaro. Sembrerà un’affermazione piuttosto cinica, ma l’esperienza spesso porta a questa considerazione.
Molti manager infatti tendono a fare da coach a tutti i venditori, senza distinzione di sorta, con l’auspicio, o forse la pretesa, se non addirittura l’ambizione di essere in grado di migliorare tutti, quando invece purtroppo ciò è molto difficile, se non impossibile.
È giusto coinvolgere tutti coloro i quali fanno parte del team di vendita, avere un buon rapporto con loro favorendo confronto e scambio professionale, ma potrebbe essere un errore investire su un attività di coaching con tutti allo stesso modo.
Forse vale la pena capire cosa si intende per coaching. Coaching non è formazione. L’attività di coaching prevede un’attività di formazione one to one con le persone focalizzata su attività pratiche e volte a migliorare le competenze.
L’attività di coaching permette di diagnosticare cosa non funziona nell’attività di vendita, definisce le attività di sviluppo professionale, supporta la pratica anche con un percorso di rafforzamento dell’atteggiamento professionale.
Prima di investire tempo in questa attività però vanno rilevati propensione e desiderio di miglioramento da parte della persona
Cambiare è difficile. Spesso chi fa attività di coaching finisce per affiancare i venditori facendo vedere nella pratica cosa si deve fare, se non addirittura facendolo al loro posto. Ma se un venditore non ha propensione e desiderio di seguire un’attività di coaching i risultati saranno deludenti. Il coaching è utile per imparare per chi vuole imparare.
Altra cosa. Non si può forzare qualcuno ad acquisire nuove competenze. Si può forzare qualcuno a partecipare a un meeting, condividere alcune operazioni, seguire qualche consiglio pratico, ma non imparare e perfezionare una nuova competenza.
Come si fa allora a capire quali persone hanno reale desiderio di migliorare?
La prima cosa è focalizzare su quanto uno realmente fa piuttosto di quanto uno dice. Con le parole si può ingannare, ma con i piedi no. Se a qualcuno vengono assegnati obiettivi per migliorare i propri risultati, se i fatti seguono le parole allora c’è la volontà e il desiderio di migliorare, altrimenti no. È semplice.
Non bisogna però arrendersi dopo il primo tentativo. Facciamo capire che siamo pronti quando le persone sono pronte. Ma se le cose vanno lentamente allora c’è un problema di motivazione e allora bisogna indossare i panni del leader. Come leader bisogna capire e determinare le resistenze al cambiamento e trovare la connessione tra lo sviluppo di una nuova competenza e ciò che la persona vuole realmente.
Ecco che una onesta e chiara discussione su questi aspetti può risultare utile. Ma l’attività di coaching deve essere condotta su “base volontaria”.
Questo filtro permette di investire al meglio il proprio tempo lavorativo capendo in modo chiaro chi è propenso a ricevere coaching e a trarne il miglior vantaggio.
E per chi non è motivato? La scintilla della motivazione si accenderà quando la necessità di miglioramento diventerà troppo pesante sulle spalle dell’interessato e lo porterà a muoversi per forza.
Fonte: Who you Coach is more Important than what you coach – Tom Stanfill, Aslan Training
Immagine: courtesy of Jcomp at freepik.com
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